Quali sono i principali errori delle PMI?

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Le «medie» imprese familiari rappresentano da sempre «croce e delizia» del tessuto imprenditoriale del nostro Paese. Troppo spesso però è stata riscontrata una mancanza di reali politiche di supporto alla crescita, alla continuità ed allo sviluppo manageriale.

Tutto questo ha creato degli errori che si ripetono nel tempo quali:

  • il mancato passaggio dimensionale,
  • il mancato passaggio generazionale,
  • la mancata separazione tra proprietà e management.

In generale, una certa pervasività degli aspetti psicologici, con conseguente incapacità di pianificare per tempo la definizione di un assetto aziendale che accolga le possibili evoluzioni proprietarie, nonché un corretto ricambio generazionale.

Il mancato passaggio dimensionale

Come noto, l’Italia ha un tessuto imprenditoriale «unico» nel contesto Europeo. In particolare il nostro Paese:

  • è il Paese con il maggior numero di piccole e piccolissime imprese, con fatturato compreso tra 1 e 10 Mn di € (in Italia circa 179.000, contro 158.000 della Francia, 121.000 della Germania, 119.000 della Spagna e 49.000 dell’UK); 
  • è tra i Paesi con il numero minore di imprese sopra i 10 Mn € (32.000 circa, contro 36.000 della Francia, 49.000 dell’UK e ben 87.000 della Germania); 
  • soprattutto, è il Paese con il numero minore di imprese sopra la soglia dei 50 Mn di € (appena 8.100, contro 9.600 della Francia, 11.800 della Germania e ben 15.000 in UK). 

Il mancato passaggio generazionale

Il secondo errore è il mancato ricambio generazionale, che è di per sé causa e conseguenza del mancato passaggio dimensionale delle PMI italiane. Alcuni dati mostrano chiaramente questo fenomeno

Un problema di leadership: modelli ed età

Il mancato ricambio generazionale consegue anche a delle scelte di leadership molto peculiari delle PMI italiane. I dati del Corporate Governance Lab di SDA Bocconi, che censisce tutte le aziende con fatturato superiore ai 50 milioni di euro, mostra alcuni caratteri della leadership molto forti:

Tra i dati più significativi:

  • il 20% delle aziende a controllo familiare sono ancora guidate da un amministratore unico, e quindi senza un CdA;
  • il 54% delle imprese familiari ha un leader ultrasessantenne, e soprattutto il 28% ha un leader ultrasettantenne;
  • Oltre i settanta anni i tassi di crescita crollano, passando dal 14,1% all’8,4%.

La mancata separazione tra proprietà e management

Una delle concause e allo stesso tempo delle conseguenze di un mancato passaggio dimensionale e generazionale è la mancata separazione tra proprietà e management (ossia, l’adozione di una logica «da azionisti»). 
Alcuni tratti tipici delle PMI hanno fortemente ritardato o impedito tale separazione:

  • relazioni personali prima che di business e conoscenza reciproca;
  • concentrazione della proprietà e stabilità nel tempo;
  • sovrapposizione tra proprietà, governo e direzione: nell’85% delle PMI il proprietario ricopre almeno due ruoli diversi;
  • molteplicità di significati e obiettivi attribuiti alla proprietà;
  • quota rilevante del patrimonio personale investita nell’impresa;
  • ostacoli finanziari ed emotivi all’uscita.

Tra gli aspetti negativi della mancata separazione tra proprietà e management delle piccole e medie imprese si ricordano:

  • l’appropriazione delle risorse e degli asset dell’impresa per soddisfare i desideri «di parrocchia» della famiglia;
  • il nepotismo, l’«altruismo» dei genitori, la selezione distorta della dirigenza e l’abuso deliberato dei beni dell’impresa;
  • l’atteggiamento conservativo e l’avversione al rischio;
  • lo sforzo eccessivo nel gestire emozioni e conflitti familiari;
  • l’incertezza e il rischio connessi al ricambio generazionale;
  • la mancata creazione di un contesto «attrattivo» per figure professionali esterne, con la conseguenza di possibili fallimenti nell’inserirne ove necessario.

Ciò che accomuna le PMI nei principali «errori» è il fatto di presentare alcuni ordini di problemi simili:

  • alcuni aspetti delicati dal punto di vista psicologico ed emotivo;
  • la confusione tra i diversi ruoli in azienda;
  • la complessità del processo di trasferimento;
  • gli “obblighi” reciproci di genitori e figli;
  • la mancanza di pianificazione e di dialettica;
  • la mancanza di “terze parti” obiettive.

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